In un contesto mondiale orientato alla continua ricerca di metodi di produzione che possano coniugare le “3E” del vivere sociale (Economia-Ecologia-Etica), questa forma di agricoltura può rappresentare una alternativa ad una diversa organizzazione del sistema agro-alimentare nel futuro prossimo. La denominazione adottata riprende chiaramente il concetto di “simbiosi” che, in biologia, definisce l’associazione fra due o più individui (appartenenti a specie vegetali o animali diverse), tale che, dalla vita in comune, ognuno di essi tragga vantaggio, oppure che il vantaggio dell’uno non vada a danneggiare l’altro. Se l’agricoltura “ intensiva” (sviluppatasi a partire dalla seconda metà del secolo scorso) ha di fatto alterato gli equilibri “naturali”, attraverso lo sfruttamento della risorsa “suolo”, l’uso/abuso dei prodotti chimici di sintesi e la spinta meccanizzazione; l’agricoltura “simbiotica” si prefigge, invece, di recuperare e conservare quegli equilibri nel terreno.
In particolare, si tratta di una metodologia di coltivazione, definita da un preciso “disciplinare”, che mira a sviluppare, rafforzare, valorizzare, i legami “biologici” tra le piante coltivate e gli organismi naturalmente presenti nel terreno, il tutto finalizzato ad un sano ed equilibrato sviluppo delle stesse, che vede, come momento fondamentale del processo produttivo, la fertilizzazione naturale: concentrando, quindi, l’attenzione verso quella parte del terreno più a diretto contatto con le radici delle piante.
La filosofia alla base di questa “nuova” agricoltura è rappresentata dal rispetto dei rapporti simbiotici tra terra – piante/animali-uomo; in questo senso, delinea una forma “particolare” di quella che è genericamente conosciuta come “agricoltura biologica”, rivolta soprattutto alla “cura” del terreno, in quanto “matrice” della produzione agricola. Evitando l’uso di prodotti chimici di sintesi, vengono salvaguardate le caratteristiche naturali del terreno, favorendo l’ equilibrio tra organismi “utili” e dannosi per la coltura: delle migliorate “condizioni ambientali” e della qualità dei prodotti, ne trarranno, di conseguenza, beneficio gli animali e l’uomo. Questo metodo di produzione, quindi, associa tre diverse componenti delle relazioni simbiotiche e cioè: terra, animali ed uomo.
Il primo, le simbiosi nel terreno: si tratta di un microcosmo nel quale miliardi di microrganismi vivono in simbiosi con le piante e tali rapporti producono effetti diversi in relazione agli organismi (macro e micro) coinvolti ed alle caratteristiche fisico-chimiche del terreno. Il terreno agricolo, quando viene trattato con prodotti “naturali”, permette un equilibrato sviluppo di funghi, batteri e lieviti, che rendono lo spazio direttamente avvolgente le radici (rizosfera) particolarmente ricco di microrganismi “utili”, i quali possono così svolgere un efficace contrasto nei confronti di quelli “dannosi” (patogeni per le piante). Una relazione simbiotica, in senso stretto, molto conosciuta è quella che si realizza tra alcune specie di batteri (appartenenti, in particolare, al genere Rhizobium) e le Leguminose attraverso la quale riescono ad assimilare l’azoto atmosferico, altrimenti non utilizzabile; dall’altro lato, i batteri si “avvantaggiano” delle sostanze emesse nel terreno dalle radici delle piante. L’entità, in termini qualitativi e quantitativi, di tale rapporto, è, però, condizionata dalla concentrazione dell’azoto nel terreno, per cui quando le quantità sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno della pianta viene fortemente depressa la funzionalità dei batteri, a causa del basso rapporto carboidrati/azoto che si viene a creare nella pianta stessa e che limita il rifornimento di carboidrati alle radici.
Sempre in questo ambito, riveste una importanza particolare, per le molte specie vegetali interessate, la formazione di micorrize: associazioni simbiotiche tra funghi del terreno e radici non lignificate delle piante. La simbiosi ha luogo nell’apparato radicale della pianta e comporta un reciproco scambio di benefici tra i due organismi coinvolti. I vantaggi risiedono nel nutrimento e nella creazione di un ambiente favorevole a microrganismi utili e sfavorevole a patogeni e parassiti. Queste simbiosi sono, nella maggior parte dei casi, di tipo mutualistico, per cui entrambi gli organismi svolgono il loro ciclo vitale, traendo reciproco giovamento. Le micorrize rappresentano il tipo di simbiosi più diffuso in natura e si calcola che interessino circa il 90% degli specie arboree che crescono nelle foreste temperate. Le micorrize si suddividono in due grandi gruppi: ectomicorrize e endomicorrize.
Le ectomicorrize derivano da funghi che colonizzano soltanto alcune specie di piante, formando uno strato esterno alle radici della pianta. Generano spore come forma di sopravvivenza e propagazione della specie, le quali sono trasportate dal vento, dagli animali o dall’azione dell’uomo. Le endomicorrize sono simbionti obbligati; a differenza delle precedenti, penetrano all’interno dei tessuti e delle cellule dell’ospite e non formano un rivestimento esterno. Queste sono di interesse diretto e specifico sulle colture agrarie.
I funghi micorrizici, nell’associazione simbiotica con le radici, forniscono alla pianta i nutrimenti presenti nel terreno e ricevono da essa carboidrati necessari alla loro sopravvivenza. Un esempio di questo rapporto mutualistico ci viene dallo scambio “zuccheri-acqua”: la pianta convoglia gli zuccheri dalle foglie all’apparato radicale in modo da fornire nutrimento ai funghi, il micelio di questi offre la sua alta capacità di assorbire l’acqua ed i sali minerali dall’ambiente, per soddisfare le esigenze della pianta. In alcuni casi, si connettono tra loro creando una sorta di sistema dei vasi comunicanti. Un’altra azione tipica dei funghi micorrizici si estrinseca nella protezione delle piante: le radici sono protette dagli ambienti iperacidi, da molti tipi di agenti inquinanti e contaminanti; sono inoltre protette da funghi nocivi e parassiti. Le endomicorrize possono favorevolmente insediarsi in diverse specie di interesse agricolo, sia arboree che erbacee, salvo quelle appartenenti alla famiglia delle Brassicacee (broccoli, cavoli, cavolfiori, ravanelli, rucola … ) e delle Chenopodiacee ( barbabietole, bieta, spinaci …).
Una pianta micorrizata mostra un notevole incremento dell’apparato radicale, tanto che può giungere ad essere fino a sette volte più esteso rispetto a quello di una pianta “normale”.
Riepilogando, lo sviluppo di questa relazione simbiotica comporta una serie di benefici, quali:
– Miglior capacità di assorbire sostanze nutritive; in particolare: azoto, fosforo, potassio, ferro, zinco, manganese, rame. In ragione di ciò, nella coltivazione potranno essere utilizzate minori quantità di concimi, ottimizzando le sostanze presenti nel terreno, possono essere altresì migliorate le qualità organolettiche di dei prodotti.
– Miglior resistenza alla siccità, grazie ad una maggiore capacità di assorbire e immagazzinare acqua, tramite l’apparato radicale più sviluppato. Ciò permette un minor consumo di acqua ed un allungamento degli interventi irrigui.
– Miglior resistenza a malattie fungine: le micorrize svolgono un effetto di barriera meccanica, oltreché instaurare un “antagonismo biologico”, per sottrazione di spazio ai vari possibili patogeni presenti nello strato di terreno occupato dalle radici.
– Azione repellente sui nematodi, grazie ai microrganismi che si sviluppano tra le radici delle piante orticole micorrizate.
– Diminuzione della sofferenza post-trapianto delle giovani piante, grazie ad un apparato radicale già ben sviluppato e, quindi, più “reattivo”.
Le micorrize, quindi, permettono di avere piante più vigorose e resistenti a molte delle comuni avversità, riducendo il fabbisogno di acqua e concimi, attraverso una “tecnica” completamente naturale.
L’altro aspetto delle simbiosi in agricoltura lo si ritrova negli allevamenti animali: in questo caso, molte delle specie allevate, avendo un regime alimentare basato su foraggi freschi e conservati, rappresentano un anello pre-terminale di quella catena che può essere descritta come: microrganismi > terreno > piante > animali > uomo.
L’ultimo aspetto riguarda le simbiosi nell’uomo, dove si completa il rapporto tra agricoltura-alimentazione-ambiente. Attraverso il cibo, di origine vegetale o animale, alcune specie microbiche raggiungono l’intestino, andando ad influenzare fortemente lo stato di salute generale dell’individuo. L’importanza del cosiddetto “microbiota intestinale” (l’insieme dei microrganismi presenti in questo organo) nel determinare lo stato di benessere generale dell’organismo umano, è stata evidenziata, negli ultimi anni, anche dalla medicina “convenzionale”, avendolo definito come uno dei tre componenti fondamentali dell’intero “ecosistema intestinale” ( gli altri due sono rappresentati dalla “barriera” e dalla “struttura neuroendocrina”). Questo complesso microbico, la composizione del quale è basilarmente determinata da caratteri genetici (ma può essere alterata da una scorretta alimentazione, da infezioni e da uno “stile di vita” insano), svolge funzioni di tipo metabolico ed enzimatico, di protezione e “sollecitazione” del sistema immunitario e di rimozione di sostanze tossiche.
In Italia, l’agricoltura simbiotica, da qualche anno, si è organizzata attraverso un consorzio di produttori (Consorzio eco-simbiotico), attualmente concentrati nel centro-nord del nostro Paese, che fa riferimento ad una “certificazione di sistema volontaria privata”, per cui è possibile reperire alimenti, prodotti con questo metodo, contraddistinti da uno specifico marchio (v. immagine a fine testo). Nel contempo, si sono costituite alcune aziende, nell’ambito del comparto “green-biotech”, che si occupano della formulazione e produzione di elementi e composti nutrizionali, nonché di bio-stimolanti, che rispondono ai requisiti fondamentali del “simbiotico”. Le linee di produzione vanno dalla nutrizione naturale/eco-sostenibile delle piante, alla realizzazione di sostanze adiuvanti (sostanze che favoriscono/aumentano l’efficacia di altre sostanze) e per l’interazione simbiotica. In particolare, si tratta di prodotti dove i “principi attivi” (siano essi elementi semplici o composti) vengono veicolati attraverso matrici organiche vegetali e/o estratti di lieviti ed alghe, attivabili mediante uno specifico gruppo di microrganismi, in grado di completare e/o migliorare il microbiota del terreno. A differenza dei prodotti chimici e biochimici tradizionali, questi formulati mirano a generare un ambiente (terreno-radici-pianta) complessivamente favorevole alla produzione agraria e duraturo nel tempo.
Dr. Agr. Franco Penna Divulgatore ARSAC
Riferimenti:
- INEA/Quaderno – I metodi di produzione sostenibile nel settore agroalimentare – Roma, 2011
- Cappellaro – Le parole della sostenibilità – ed. Impressioni Grafiche, Acqui T.(AL), 2017
- Accademia Georgofili – Sostenibilità in agricoltura (giornata di studio) – Firenze, 2019
- agricolturasimbiotica.it
- Mazzocchio e G. Notarstefano (a cura di) – Ecologia integrale ? Etica, Economia e Politica in dialogo – 2020; (https://www.researchgate.net/publication/344853816_ECOLOGIA_INTEGRALE_ETICA_ECONOMIA_E_POLITICA_IN_DIALOGO_)
- Costa – Modelli di agricoltura sostenibile per un’economia circolare – 21marzo2020; (https://www.agrifood.tech/sostenibilita/modelli-di-agricoltura-sostenibile-per-uneconomia-circolare/#Bioeconomia_economia_circolare_e_utilizzo_sostenibile_delle_materie_prime)
- Benfatto – Cresce l’agricoltura simbiotica: obiettivo del consorzio e-commerce e corner dedicati –IlSole24Ore/Food-Agroindustria, Milano, 16ottobre2020